una settimana da dio.

E questo stacco dal lavoro, questa settimana di ferie, ecco che va sul terminare. Venerdì è il preludio della fine. Venerdì è quel giorno in cui puntualmente arriva la mail da Pinterest Weekly con l’annunciazione “T’innamorerai di questi pin!” ricordandoti che per l’appunto, è venerdì. Come se il venerdì sia l’inizio di una festa festosa, lo svacco totale, la sera in cui implodi di tutte le pressioni lavorative buttandoti dentro un locale a ubriacarti di vita pazzerella con amici+amico alcool o, per i più discreti, la sera in cui non risentendo per niente di tutte le fatiche sul groppone ti agghindi da pigiama party esclusivo, cioè tu, più il cane o il gatto, ti prepari una tisana bollita nella tua tazza preferita, nella tua stanza pulita, della tua casa perfettamente ordinata, con un’atmosfera dannatamente pucciosa nell’aria e ti appresti a fare una serie infinita di cose, tipo leggere l’ultimo capitolo del tuo tomo adorato, rispondere alle mail e ai messaggi che hai sdegnato durante la settimana, guardare l’ultima puntata della tua serie TV culto, fare un pò di beauty routine ai piedi e così via. Insomma, il venerdì sera è La Sera, piuttosto rilassante e distendente, che s’attacca a una due giorni di “faccio un pò come cavolo mi pare”. O almeno, la immagino così. Sì, perchè io non ci sono abituata, il venerdì sera per me equivale a un martedì sera. Non ha nè arte nè parte. Non ha fascino. Non ha quella caratteristica piacevole, quella sensazione come se avessero inventato il diffusore a base di My Little Pony da attaccare alla spina, con tutti i piccoli poni color pastello e semitrasparenti proiettati su una parete che profuma di gelato alla vaniglia e pistacchio. No. Ho detto no.
Perchè io lavoro anche il sabato. E da tempo immemore oramai. Quindi si fotta Pinterest con i suoi pin del fine settimana e tutta la mia tradita immaginazione del diffusore a base di cavallini azzurri pastello quando penso a un momento di relax parecchio idiota.
Ma che poi diciamolo, nemmeno chi dispone di un vero weekend, forse, fa tutte queste attività da minchioni. E’ nell’immaginario collettivo sociale mondiale quello di dedicarsi alle pazzo-gioie di Sex and The City per le femmine e ai figo-svaghi per i maschi, di quel mondo patinato dove tutto va bene, c’è un tempo per bere e uno per mangiare, uno per fotografare quello che mangi al ristorante, quello che ti sei comprato all’outlet e, attenzione delle attenzioni, l’abilità suprema level MAX di fotografare IL DIVERTIMENTO IN DISCOTECA (il bicchiere in mano compreso nella foto ne testimonia la veridicità da sempre, specialmente quando si ciuccia-la-cannuccia).
Forse il vero è qualcosa di assai diverso. Forse si muore di stanchezza e buonanotte al secchio. Forse si ramazza casa, forse si sbriga qualche faccenda, forse si va a trovare nonna, forse si provvede agli acquisti fondamentali per la sussistenza, ed è qui che mi troverete, pronta per esaudirli, batterli alla cassa e a imbustarli (pure) nel vostro sabato meriggio d’or. Col sole o con la pioggia. Con le feste vicine o lontane. Con l’inverno o l’estate. Con i brufoli o la pelle splendida. Io sono lì. Anche quell’ultimo miserabile giorno della settimana, da otto anni. Un dato di fatto, un capo saldo, sicuro, incorruttibile, granitico. A parte qualche rara eccezione fatta un paio di volte l’anno, ferie escluse, che culo.

Ed è un giorno che odio particolarmente per svariati motivi:
A: c’è sempre di più da fare, proprio a causa della giornata stessa che concede a molti il potere del flusso passeggiata-cazzeggio;
B: il potere del flusso passeggiata-cazzeggio è spesso caratterizzato da individui cafoni finti-educati che male sanno padroneggiare tale potere;
C: gli amici spesso fanno cose, organizzano cose, vanno in cose che io non posso cosare in linea generale;
D: nel caso di poter cosare con gli amici coso sempre tardi con il metodo del “raggiungimento”, spesso raccomandato anticipatamente con la tipica frase “ti raggiungo dopo, nel caso” (immaginare come va a finire);
E: dopo sabato viene la domenica e dopo la domenica viene il lunedì;
F: un solo giorno di stacco non mi torna utile e efficace come possono esserlo due;
G: solitamente il sabato è pieno zeppo di fighe vestite a puntino, il che aiuta sicuramente a farmi sentire uno zerbino consumato di tutto rispetto;
H: gli accompagnatori, mariti, amanti delle suddette fighe;
I: l’aria rilassata che respirano mentre io mi taglio un dito col cutter nell’aprirgli una scatola di guanti misura 9;
L: gli spicci per fare i resti finiscono e non sai come risolvere perchè in giro è tutto chiuso;
M: il fatto che non cambia niente se è sabato, è un giorno lavorativo fino all’otto di sera come un altro, punto.
N: potrei andare avanti;
O: ma preferisco;
P: fermarmi;
Q: ui.
Insomma, la mia vita è una tragedia. E io ne sono la somma creatrice. Quindi è ancor più tragica.
Ed è tragico pensare che questo sia uno dei miei rarissimi verissimi weekend che sto utilizzando per fare il countdown che ne vedrà la fine senza reagire, sballarmi, sballare, fare la cagacazzi in giro per negozi, comportarmi col prossimo come il prossimo m’ha amata, fare la regina delle stronze-finto-fighe-shatush-estetista-gel-ricostruzione-unghie-giappo-sushi-grosseto-outlet-valdichiana-palestra-gym-freddie-leggins-sagomati-culo-alto per esibire la mia giustizia che calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno.

No.

Ho passato un ritiro umile, tranquillo, a mia immagine e somiglianza dove mi sono innamorata e mi sono innamorata delle piante. Se ci si mette in testa di fare l’orto è impossibile non rischiare di provare sentimenti d’amore per quello che si semina. Ho cominciato tirando fuori dal garage tutte le bustine di sementi semi-aperte e altre ancora sigillate che ho accumulato in questi anni dandogli zero considerazione. Infatti alcune con probabilità di germogliazione garantita sotto lo zero assoluto, dato che erano datate in lontani 2012, 2013. Ho provato a dargli possibilità e ho seminato uguale. Molto spesso l’essere umano commette degli errori di battitura… e poi la natura farà un pò quello che gli pare, oh.

Ho letto “il grande libro dell’orto” acquistato quattro, cinque anni fa quando si tentò ma senza crederci abbastanza. Ora ci credo. Ho cominciato a conservare i resti degli ortaggi usati per cucinare, quelli che si buttano per intenderci, dalla parte della radice, disponendoli in piattini e ciotole con dell’acqua sul davanzale illuminato in cucina, in modo che buttino e formino foglie di continuo. Per ora sto provando con il radicchio, carciofo, porro, cipolle e devo dire che funziona. Ed è bello vederli rigenerare. Che possono dare ancora. Che non sono scarti veri e propri. Che si può dare di più senza essere eroi.©

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E su questo mi verrebbe da fare un piccolo appunto per quanto riguarda la famosa e usatissima frase rivolta ai vegani dagli onnivori più simpatici: “Ma anche le piante soffrono”.
Non mi dilungherò molto sull’argomento.
Se tagli una zampa a una mucca muore. Se tagli le foglie a una pianta può continuare a crescere.
E cosa più importante: riconosco più simile al mio, se non assolutamente identico, il dolore provato da un animale piuttosto che da una creazione del regno vegetale. Se dovessi vegetare lo dico io stessa: fatemi sparire ed estirpatemi come una malerba.


Malerba, per l’appunto. Nome tecnico/elegante dato all’erbaccia. Anche questo ho imparato questa settimana e ho imparato anche quanto sia difficile da allontanare. Ne ho zappata via un bel pò ma nemmeno troppa, il campo lavorato era in balia di sè stesso da troppi anni e ripulirlo non è propriamente un giochetto da ragazzi. La terra, insieme alle malerbe, ha portato alla luce anche un bel pò di lombriconi, ottimi amici delle piantine che andranno a occupare gli spazi e preziosi indicatori di buon suolo, ricco di sali minerali e di consistenza morbida/friabile ma non troppo, perchè sì, ho imparato che se la terra è troppo dura i bulbi delle piante non si riescono a sviluppare dovutamente. Quindi i lombrichi aiutano me a drenare bene la terra a favore di bulbi cipollosi, agliosi e patatosi ma con la mia zappa non credo di aiutare molti lombrichi. E questo è uno dei lati oscuri del fare l’orto. Fosse per me io non taglierei mai il ramo di un albero, non sposterei mai una zolla di terra, non falcerei mai l’erba, lascerei tutto come viene come nei boschi, appunto per non impattare sulle piccole vite, le tanette, le costruzioni altrui. Ma mi rendo conto che un giardino non può assomigliare a un bosco abbandonato, sopratutto se quel giardino non è di tua proprietà e se quel benedetto orto serve come terapia d’ordine (terapia autoprodotta, ovvio), quindi s’ha da fà. I lombricucci che ho rilevato sono stati comunque gentilmente spostati in zone di terra che non lavoravo al momento, in modo da fargli penetrare oscurità protette.
Dopo i trapianti e la messa in dimora delle piantine ci sarà bisogno di vari lavoretti di manutenzione, per cui conto sia un’impresa di notevole durata. Il che mi distrarrà dal lavoro ripetitivo e stressante una volta rientrata a casa e mi terrà occupata quando implodo di rabbia diffusa.

«Che le piantine fungano da spugna per stress e rabbia diffusa così da gonfiarne i frutti nonchè il mio ego. Amen.»

Oltre ad essermi innamorata delle piante prodotte da zero mi sono innamorata, di nuovo, anche del mio attuale compagno.
Non è un aspetto da sottovalutare. Molte volte pur vivendo insieme da molto ci si scorda, grazie ai doveri et dolori quotidiani, quanto sia importante avere vicino quella persona con cui tempo fa si è presa una delle decisioni più importanti della vita, la promessa di un impegno. E succede che presti più attenzione a una risata che di norma ignoreresti se vai di fretta perchè sei in ritardo. E la mattina c’è la voglia di dirsi buongiorno anzichè tirarsi un cazzotto nel muso.
Inutile dire che mi sono innamorata del mio cane, ancora una volta, che mi si sdraia vicino mentre zappo.
Dei miei due gatti pure.
Della mia casa.
Di quello che ho sotto gli occhi.
Tra le mani.

E se c’è un altro motivo, se non il principale motivo, per cui sto facendo l’orto e me ne sto innamorando, è anche per Te, zio, che da poco eri andato a abitare nella vostra nuova casa con il giardino dopo anni di sacrifici e pazienze. So che l’orto era nei tuoi programmi. So che in programma c’era molto altro.

Il tuo sorriso così puro e spontaneo mi da la forza di arrabbiarmi con la vita in modo dolce e ironico.
Saran per Te tutte le gemme che nasceranno, cresceranno e si faranno fiori e frutti.

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C’è da fare a essere in ferie.

Essere in ferie, sì, dopo circa sette mesi, una settimana di anelate ferie, dopo aver oltrepassato con un balzo a fatica le feste natalizie avendogli prestato onori et servigio, dopo che passate le feste natalizie comunque il servigio prestato resta pressochè immutato, poichè il lavoro sempre pesante, sempre di corsa, sempre affaccendato, è, altrimenti che si chiamerebbe “lavoro” a fare. E’ lavoro e tu ci metti tutta te stessa con corredo di totali energie. Almeno, per me vige questa più che regola, conseguenza. Poi dipenderà anche dal lavoro svolto. Ma per me quelli che chiamano aperitivi, cene, feste serali, barbecue domenicali restano solo delle attività di cui ne conosco l’esistenza e di cui manco partecipazione. Ho troppo bisogno di riprendermi da tutta la devozione data in loco per poter sperare di investire ulteriori energie in ritrovi di massa, senza contare di avere una casa da rincorrere per non lasciarla totalmente abbandonata a sè stessa mentre la uso solo per mangiare e dormire, con annessi n.2 gatti e n.1 cane, quest’ultimo anch’esso molto impegnativo e di stazza importante.
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Se facessi un rapido calcolo delle 8 ore che sgambetto forzatamente in negozio, più quell’ora che serve per violentare il corpo facendolo scendere dal letto, lavarlo, prepararlo, nutrirlo prima che avvenga la giornata tipo, quindi ammontiamo a 9, più quella che si usa per pranzare, più quella che si usa per lavare e riporre le stoviglie per la sera che verrà, dove c’incastri anche la pulizia e la sistemazione generica della casa in toto, il governo delle 3 bestiole compresa l’uscita della temeraria bestia dalla stazza importante, quella della preparazione della cena e consumo della stessa e infine quelle 6/7 che mi dormo beatamente
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7(facciamo sette, via, cribbio.)=
5.
Cinque ore di spazio. Ammesso che non ci siano intoppi extra, tipo visite, appuntamenti logistici, cambio gomme, rotture di palle in generale.

Ebbene. Io con cinque ore di tempo libero non ci faccio una sega.

Nel senso, riesco a malapena a tirare il fiato dopo i doveri, ragionare un pochino ma nemmeno troppo sul fatto del giorno, rilassare le membra, amare me stessa, il mio compagno, eventualmente gli amici, gli animali e la vita. No, non ce la faccio. Necessito di più tempo.
Come gli artisti. E non come gli artisti de noiartri che cavano un’opera al giorno postandola con gioia sulla home di facebook, no no, per niente. Dico come gli artisti che non sono artisti di mestiere, che hanno tra le mani e nelle mani un potenziale fuormisura spesso incompreso da millemila persone, quelli che fanno capricci, che si disperano, che non ne vengono mai a capo, che sono in crisi oggi domani e per sempre, quelli che iniziano una cosa sette anni fa, la continuano ispirati per una settimana e poi la riabbandonano per altri vent’anni (detto ciò non mi ritengo un’artista, badare). Ecco cosa intendo. Ecco perchè 5 ore di tempo libero al giorno fanno cacare il cazzo. Perchè comunque quelle cinque ore sono incastrate in mezzo alla baraonda di una vita votata al massacro, dove dai anche le forze che non hai, dove ti infliggi violenza per farcela e mantenere quello straccio di lavoro che misericordiosamente qualcuno ti ha dato (sti cazzi la misericordia, merito, solo merito). Dove cinque ore non bastano per riordinare i pensieri, avere il corpo leggero per buttarsi in qualcosa che davvero ti piacerebbe fare. Possono fungere da riempitivo nell’attesa della ripartenza sul lavoro, possono essere ingannate con un bel film, con una bella perdita di tempo su internet per scoprire l’accostamento giusto della noce moscata o per constatare chi delle tue conoscenti è rimasta incinta, con una bella lettura di un interesse, ma a me non bastano per esistere nel suo porco (co)modo.

Mi dicono di fare cose, disegnare cose, creare cose, scrivere cose. E ce la metto tutta per infilarle in queste maledette cinque ore. Che mi servono principalmente per predisporne il pensiero e attuarne l’azione nelle ventiquattro che verrano portate dalla fantastica domenica.

Ma ebbene sì, neanche le ventiquattro ore di miss Domenichina bastano.

Sarò fatta male, me ne rendo conto. Ma non sono una persona iperattiva. Ho bisogno di più tempo, la lentezza del dolce scorrere del tempo. Una volta qualcuno di molto caro a cui rivolsi la domanda “ma tu come fai a fare tutto questo?” mi disse “corro piccola, corro per non restare fermo”. E correva lui, correva veramente. Poche ore di sonno, un lavoro ripetitivo ma carico di stimoli tutte le volte, una band, una famiglia, cose. Penso che corra attualmente. E sempre con la stessa carica. Lo ammiro.

Quando a vent’anni disegnavo sotto il tetto di mamma mi ci buttavo dritta ispirata appunto dal non avere un cazzo d’importante da fare, quindi mente sgombra, nessuno tra i piedi, tempo autogestito, anche per lunghi periodi. Ma di contro c’era che non stavo dando troppo conto alla mia vita, che all’epoca era fatta di Final Fantasy IX e X a manetta, film adolescenziali, Maurizi Costanzi shows, tante missive (internet per me giunse tardi, come la perdita della verginità), tanti fogli di carta, tante parole pseudo poetate maledettamente, poche, pochissime prestazioni fisiche nella vita di strada. Sicchè, scartata l’opzione di vita ultraterrena scelsi quella terra terra.

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E che terra. Infatti mò mi metto pure a fare l’orto. Perchè agli, rucole, cipolle, patate, pomodori e qualche altro vegetale di cui poi setaccerò i semi hanno voglia di vedere la luce. E io con loro. E quando? Ora. Perchè se non ora quando. Sono in ferie, eh.
Ho iniziato oggi. In questo nuovo anno ho proprio la voglia che mancava negli anni precedenti di veder sorgere dalla terra piantine che spero, mi daranno da mangiare questa estate, magari anche oltre.
Ho zappato con una zappa proporzionale alla mia forza bruta, quindi piccola. Una piccola zappettina, una piccola zolla, una piccola vescica. Che avevo già messo in conto: “Come prima cosa nel primo giorno delle mie ferie vango e zappo e preparo il terreno così mi faccio male alle mani e per tutti gli altri giorni mi comprometto e così ozio e fanculo l’orto che tanto c’è la Coop con le sue verdure di origine controllata e parametri sicuri”. Sembrerebbe un pò nella mia indole arrendevole, ma questa volta ho deciso che continuerò. E non per il notevole risparmio sul costo della verdura (ehi, attenzione, non è mica detto che riesca, ci saranno innumerevoli battaglie contro coleotteri affamati, afidi infestanti, catastrofi naturali, grandine a mitraglietta e pioggie a granata, nota bene sai) ma appunto per sfidare gli eventi, sfidare me stessa nella poca competenza in materia, osservare come la crudeltà di madre natura svolti in amore nei miei confronti e magari rada a un cumulo di cenere l’orto del vicino che usa i pesticidi, cose così. O semplicemente per coltivare il mio cibo. Trovo che sia una cosa molto bella. Come quella del lavarsi con il sapone autoprodotto, accendere il fuoco con i legnetti stagionati da una vecchia potatutura, rattoppare un vestito prima di buttarlo, fare l’amore prima di gettare tutto alle ortiche, in modo da capire che quello di cui ho bisogno lo ha già disposto la natura. Anche se spesso non è facile, non è a portata d’uso e il mondo ti rema tutto contro.

Un’altra cosa che mi convince ancora di più è questa coincidenza -non assolutamente preparata- con il mio breve stop dai lavori forzati e l’arrivo della primavera. Posso giovarmene. Sono positiva. Le prime farfalle cominciano a svolazzarmi intorno mentre puzzo, sono sudata, con la zappetta proporzionale alla mia figura  tra le mani e totalmente impresentabile al pubblico dispersa nel mio giardino in affitto. Può esistere un relax migliore? Ci sarà tempo di incazzarsi di nuovo. Eccome se ci sarà. Facendo un rapido conto delle settimane lavorative di un anno intero, di giorni liberi me ne restano soltanto…

La faccio finita, va bene.

Viva il tempo libero, viva la vita che si celebra nel tempo libero, viva la primavera.

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NON CORRENDO MA CAMMINANDO, MAGARI BICICLETTANDO.

Ho passato una settimana in quel di Bolzano a settembre scorso, quella volta numero 1 durante tutto l’arco dell’anno che mi riesce di riavvicinarmi a casa. Sai, lavoro, cose, lavoro, parenti che non si smuovono. Insomma sì, tocca sempre a me alzare il culo e prendere il treno dalla Toscana per giungere sino alle origini. Non che mi dispiaccia, ma ecco, quaggiù nella Maremma ho costruito parecchie cosine da zero, facendomi “tutta dammè”, quindi sarebbe anche carino che in lunghi nove anni qualcuno del sangue del mio sangue si disturbasse nel fare una capatina, dove tra le tante cose, oltre a farsi trasportare da un qualsiasi mezzo di trasporto, una volta arrivati non dovrebbero alzare un dito. Stanza per ospiti pronta, mangiarini buoni idem, niente sbattimenti. Tutta vita. Insieme. Ancora una volta. Ma: no. C’è sempre qualche problema, qualche trambusto, qualche pensiero. Grazie famiglia ansia, grazie all’ ancora attuale assenza dei teletrasporti nel duemilaquindici, grazie forse a me stessa, che risulto così antipatica da non riuscirmi a far volere bene e desiderare da chi mi ha messo in piazza, ecco. Chiusa introduzione. Dicevo, ho passato una settimana in quel di Bozen e durante un pomeriggio di caldo e bel sole io e la mamma abbiamo preso il cane di mia sorella e siamo andate a fare una passeggiata in campagna. La mia era anche una buona occasione per testare l’applicazione di Runtastic appena installata. Tutti ce l’hanno, tutti la usano, tutti camminano. Anche io cammino, e anche tanto porcocazzo. Così attivo una delle applicazioni più scaricate del globo sul telefono e partiamo. Cammina cammina cammina, un pezzetto di strada urbana e ci addentriamo per la vecchia campagna che ricordo ancora vividamente essere uno dei “puntelli” preferiti di quando ero adolescente con le amiche. A un certo punto mia mamma mi avverte di un punto di ristoro molto frequentato dai ciclisti, dove servono bevande e fette di torta. “Che bello. Ma veramente? Voglio andarci.” Ed eccoci. IMG_20140910_151418 Il posto, molto carino situato in mezzo al verde di meli, peri e altre piante fruttifere, è chiuso. Ma non del tutto. Scurioso un pò in giro, non c’è nessuno, all’entrata c’è un specie di gazebo a vetrate con un sacco di volantini appiccicati e i vari menù, proseguendo più all’interno del giardino c’è una stalla con dei tipici cavalli tedeschi di cui non ricordo la razza e ch’io chiamo “I Cavalli Biondi”, e più defilato c’è il servizio bagno, un pò tipo i classici bagni chimici Sebach che capita di veder sparsi nell’ovunque, solo che Quelli trovati in camporella sono tutt’altro che chimici, bensì  senza scarico ma con un sistema sanitario a secco: i rifiuti organici si trasformano in compost neutro seguendo il ciclo naturale di evaporazione e disidratazione, tramite una circolazione naturale dell’aria, senza odore. Un secchiello di terra e una paletta servivano a trasformare la tua pupù o la tua pipì in altra terra. Ero affascinatissima. E lo ero solo per un bagno ecologico, figuriamoci. IMG_20140910_153251 Continuo a scuriosare e fù così che trovai anche un preziosissimo mobiletto in legno aperto a tutti contenente un piccolo frigorifero. Cioè, io mi trovo qui, ho una sete che moio, e posso frugare, toccare, guardare perchè mi dite che si può fare???? Non me lo faccio suggerire due volte. Così frugo, tocco e guardo, apro il frigo e trovo delle preziosissime bottiglie super fresche di succo di mela biologico e, udite udite, sciroppo di Sambuco da diluire con l’acqua? Ma dai, ma veramente? Ma veramente è tutto vero? Ma cosa? Così con la grazia di un fenicottero che sta per essere cacciato da un coccodrillo sulle sponde di un fiume in Madagascar, prendo uno dei bicchieri puliti che giacevano da un lato del ripiano e mi preparo con la gioia di una bambina impazzita la mia super mega buona bevanda al sambuco. Bevo ed è bòna, ribevo ed è bòna. “Mamma e tu vuoi qualcosa?” Ne bevo un’ altra in compagnia di mamma, questa volta seduta al tavolino, più per gola che per sete (sì esatto, anche le bevande si bevono per gola). IMG_20140910_150829 IMG_20140910_150803 Estasiata, meravigliata, incredula, per tutta quella bontà a cielo e frigo aperto, a chiunque. Trattasi di un ristoro basato sulla fiducia, ovvero: tu prendi un bicchiere pulito, apri il frigo, gusti il succo di mela o di sambuco e lasci la rispettiva monetina nella cassa. La cassa consiste in una scatola di metallo chiusa e saldata al ripiano. Tutto autonomo, tutto funzionale, tutto trasparente. E cosa non da meno, tutto biologico e prodotto dall’azienda agricola stessa in cui è situato. Credo ci abitassero esattamente dietro, sentivo rumori di lavori in corso.
 Nel mezzo di tutta quella meritata beatitudine, butto un occhio al telefono per vedere la situazione in quel di Runtastic. Nulla. Devo aver pigiato qualche tastino per sbaglio tant’è che si era bloccato. Fanculo a Runtastic. Ho scoperto un posto belliffimo. Dove hanno pure le ciotole per far bere il cane con la pompa di acqua fresca. Dove ci sono le mele che maturano sugli alberini. Dove hanno il menù poco onnivoro e molto vegetariano. Dove se in qualche modo un giorno avessi una famiglia ci festeggerei i compleanni dei figli. Dove se per qualsiasi motivo dovessi festeggiare qualcosa, ci festeggerei e basta. Ecco cosa mi portò quel giorno il mettere per ritto il mio corpo affiancando e alternando i piedi. Con il cane di mia sorella e la mia mamma.
 Il Punto Ristoro Wiesl si trova in via Bivio 49 a Bolzano.
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