E questo stacco dal lavoro, questa settimana di ferie, ecco che va sul terminare. Venerdì è il preludio della fine. Venerdì è quel giorno in cui puntualmente arriva la mail da Pinterest Weekly con l’annunciazione “T’innamorerai di questi pin!” ricordandoti che per l’appunto, è venerdì. Come se il venerdì sia l’inizio di una festa festosa, lo svacco totale, la sera in cui implodi di tutte le pressioni lavorative buttandoti dentro un locale a ubriacarti di vita pazzerella con amici+amico alcool o, per i più discreti, la sera in cui non risentendo per niente di tutte le fatiche sul groppone ti agghindi da pigiama party esclusivo, cioè tu, più il cane o il gatto, ti prepari una tisana bollita nella tua tazza preferita, nella tua stanza pulita, della tua casa perfettamente ordinata, con un’atmosfera dannatamente pucciosa nell’aria e ti appresti a fare una serie infinita di cose, tipo leggere l’ultimo capitolo del tuo tomo adorato, rispondere alle mail e ai messaggi che hai sdegnato durante la settimana, guardare l’ultima puntata della tua serie TV culto, fare un pò di beauty routine ai piedi e così via. Insomma, il venerdì sera è La Sera, piuttosto rilassante e distendente, che s’attacca a una due giorni di “faccio un pò come cavolo mi pare”. O almeno, la immagino così. Sì, perchè io non ci sono abituata, il venerdì sera per me equivale a un martedì sera. Non ha nè arte nè parte. Non ha fascino. Non ha quella caratteristica piacevole, quella sensazione come se avessero inventato il diffusore a base di My Little Pony da attaccare alla spina, con tutti i piccoli poni color pastello e semitrasparenti proiettati su una parete che profuma di gelato alla vaniglia e pistacchio. No. Ho detto no.
Perchè io lavoro anche il sabato. E da tempo immemore oramai. Quindi si fotta Pinterest con i suoi pin del fine settimana e tutta la mia tradita immaginazione del diffusore a base di cavallini azzurri pastello quando penso a un momento di relax parecchio idiota.
Ma che poi diciamolo, nemmeno chi dispone di un vero weekend, forse, fa tutte queste attività da minchioni. E’ nell’immaginario collettivo sociale mondiale quello di dedicarsi alle pazzo-gioie di Sex and The City per le femmine e ai figo-svaghi per i maschi, di quel mondo patinato dove tutto va bene, c’è un tempo per bere e uno per mangiare, uno per fotografare quello che mangi al ristorante, quello che ti sei comprato all’outlet e, attenzione delle attenzioni, l’abilità suprema level MAX di fotografare IL DIVERTIMENTO IN DISCOTECA (il bicchiere in mano compreso nella foto ne testimonia la veridicità da sempre, specialmente quando si ciuccia-la-cannuccia).
Forse il vero è qualcosa di assai diverso. Forse si muore di stanchezza e buonanotte al secchio. Forse si ramazza casa, forse si sbriga qualche faccenda, forse si va a trovare nonna, forse si provvede agli acquisti fondamentali per la sussistenza, ed è qui che mi troverete, pronta per esaudirli, batterli alla cassa e a imbustarli (pure) nel vostro sabato meriggio d’or. Col sole o con la pioggia. Con le feste vicine o lontane. Con l’inverno o l’estate. Con i brufoli o la pelle splendida. Io sono lì. Anche quell’ultimo miserabile giorno della settimana, da otto anni. Un dato di fatto, un capo saldo, sicuro, incorruttibile, granitico. A parte qualche rara eccezione fatta un paio di volte l’anno, ferie escluse, che culo.
Ed è un giorno che odio particolarmente per svariati motivi:
A: c’è sempre di più da fare, proprio a causa della giornata stessa che concede a molti il potere del flusso passeggiata-cazzeggio;
B: il potere del flusso passeggiata-cazzeggio è spesso caratterizzato da individui cafoni finti-educati che male sanno padroneggiare tale potere;
C: gli amici spesso fanno cose, organizzano cose, vanno in cose che io non posso cosare in linea generale;
D: nel caso di poter cosare con gli amici coso sempre tardi con il metodo del “raggiungimento”, spesso raccomandato anticipatamente con la tipica frase “ti raggiungo dopo, nel caso” (immaginare come va a finire);
E: dopo sabato viene la domenica e dopo la domenica viene il lunedì;
F: un solo giorno di stacco non mi torna utile e efficace come possono esserlo due;
G: solitamente il sabato è pieno zeppo di fighe vestite a puntino, il che aiuta sicuramente a farmi sentire uno zerbino consumato di tutto rispetto;
H: gli accompagnatori, mariti, amanti delle suddette fighe;
I: l’aria rilassata che respirano mentre io mi taglio un dito col cutter nell’aprirgli una scatola di guanti misura 9;
L: gli spicci per fare i resti finiscono e non sai come risolvere perchè in giro è tutto chiuso;
M: il fatto che non cambia niente se è sabato, è un giorno lavorativo fino all’otto di sera come un altro, punto.
N: potrei andare avanti;
O: ma preferisco;
P: fermarmi;
Q: ui.
Insomma, la mia vita è una tragedia. E io ne sono la somma creatrice. Quindi è ancor più tragica.
Ed è tragico pensare che questo sia uno dei miei rarissimi verissimi weekend che sto utilizzando per fare il countdown che ne vedrà la fine senza reagire, sballarmi, sballare, fare la cagacazzi in giro per negozi, comportarmi col prossimo come il prossimo m’ha amata, fare la regina delle stronze-finto-fighe-shatush-estetista-gel-ricostruzione-unghie-giappo-sushi-grosseto-outlet-valdichiana-palestra-gym-freddie-leggins-sagomati-culo-alto per esibire la mia giustizia che calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno.
No.
Ho passato un ritiro umile, tranquillo, a mia immagine e somiglianza dove mi sono innamorata e mi sono innamorata delle piante. Se ci si mette in testa di fare l’orto è impossibile non rischiare di provare sentimenti d’amore per quello che si semina. Ho cominciato tirando fuori dal garage tutte le bustine di sementi semi-aperte e altre ancora sigillate che ho accumulato in questi anni dandogli zero considerazione. Infatti alcune con probabilità di germogliazione garantita sotto lo zero assoluto, dato che erano datate in lontani 2012, 2013. Ho provato a dargli possibilità e ho seminato uguale. Molto spesso l’essere umano commette degli errori di battitura… e poi la natura farà un pò quello che gli pare, oh.
Ho letto “il grande libro dell’orto” acquistato quattro, cinque anni fa quando si tentò ma senza crederci abbastanza. Ora ci credo. Ho cominciato a conservare i resti degli ortaggi usati per cucinare, quelli che si buttano per intenderci, dalla parte della radice, disponendoli in piattini e ciotole con dell’acqua sul davanzale illuminato in cucina, in modo che buttino e formino foglie di continuo. Per ora sto provando con il radicchio, carciofo, porro, cipolle e devo dire che funziona. Ed è bello vederli rigenerare. Che possono dare ancora. Che non sono scarti veri e propri. Che si può dare di più senza essere eroi.©
E su questo mi verrebbe da fare un piccolo appunto per quanto riguarda la famosa e usatissima frase rivolta ai vegani dagli onnivori più simpatici: “Ma anche le piante soffrono”.
Non mi dilungherò molto sull’argomento.
Se tagli una zampa a una mucca muore. Se tagli le foglie a una pianta può continuare a crescere.
E cosa più importante: riconosco più simile al mio, se non assolutamente identico, il dolore provato da un animale piuttosto che da una creazione del regno vegetale. Se dovessi vegetare lo dico io stessa: fatemi sparire ed estirpatemi come una malerba.
Malerba, per l’appunto. Nome tecnico/elegante dato all’erbaccia. Anche questo ho imparato questa settimana e ho imparato anche quanto sia difficile da allontanare. Ne ho zappata via un bel pò ma nemmeno troppa, il campo lavorato era in balia di sè stesso da troppi anni e ripulirlo non è propriamente un giochetto da ragazzi. La terra, insieme alle malerbe, ha portato alla luce anche un bel pò di lombriconi, ottimi amici delle piantine che andranno a occupare gli spazi e preziosi indicatori di buon suolo, ricco di sali minerali e di consistenza morbida/friabile ma non troppo, perchè sì, ho imparato che se la terra è troppo dura i bulbi delle piante non si riescono a sviluppare dovutamente. Quindi i lombrichi aiutano me a drenare bene la terra a favore di bulbi cipollosi, agliosi e patatosi ma con la mia zappa non credo di aiutare molti lombrichi. E questo è uno dei lati oscuri del fare l’orto. Fosse per me io non taglierei mai il ramo di un albero, non sposterei mai una zolla di terra, non falcerei mai l’erba, lascerei tutto come viene come nei boschi, appunto per non impattare sulle piccole vite, le tanette, le costruzioni altrui. Ma mi rendo conto che un giardino non può assomigliare a un bosco abbandonato, sopratutto se quel giardino non è di tua proprietà e se quel benedetto orto serve come terapia d’ordine (terapia autoprodotta, ovvio), quindi s’ha da fà. I lombricucci che ho rilevato sono stati comunque gentilmente spostati in zone di terra che non lavoravo al momento, in modo da fargli penetrare oscurità protette.
Dopo i trapianti e la messa in dimora delle piantine ci sarà bisogno di vari lavoretti di manutenzione, per cui conto sia un’impresa di notevole durata. Il che mi distrarrà dal lavoro ripetitivo e stressante una volta rientrata a casa e mi terrà occupata quando implodo di rabbia diffusa.
«Che le piantine fungano da spugna per stress e rabbia diffusa così da gonfiarne i frutti nonchè il mio ego. Amen.»
Oltre ad essermi innamorata delle piante prodotte da zero mi sono innamorata, di nuovo, anche del mio attuale compagno.
Non è un aspetto da sottovalutare. Molte volte pur vivendo insieme da molto ci si scorda, grazie ai doveri et dolori quotidiani, quanto sia importante avere vicino quella persona con cui tempo fa si è presa una delle decisioni più importanti della vita, la promessa di un impegno. E succede che presti più attenzione a una risata che di norma ignoreresti se vai di fretta perchè sei in ritardo. E la mattina c’è la voglia di dirsi buongiorno anzichè tirarsi un cazzotto nel muso.
Inutile dire che mi sono innamorata del mio cane, ancora una volta, che mi si sdraia vicino mentre zappo.
Dei miei due gatti pure.
Della mia casa.
Di quello che ho sotto gli occhi.
Tra le mani.
E se c’è un altro motivo, se non il principale motivo, per cui sto facendo l’orto e me ne sto innamorando, è anche per Te, zio, che da poco eri andato a abitare nella vostra nuova casa con il giardino dopo anni di sacrifici e pazienze. So che l’orto era nei tuoi programmi. So che in programma c’era molto altro.
Il tuo sorriso così puro e spontaneo mi da la forza di arrabbiarmi con la vita in modo dolce e ironico.
Saran per Te tutte le gemme che nasceranno, cresceranno e si faranno fiori e frutti.